Molestie sessuali a collega: legittimo licenziamento
Con la sentenza n. 23291/23, la Suprema Corte ha confermato la legittimità del licenziamento di un dipendente che aveva molestato verbalmente una giovane collega in due diverse occasioni, attraversi chiare allusioni a sfondo sessuale che avevano minato la libertà della ragazza.
In particolare, i Giudici di merito avevano ritenuto infondate le giustificazioni fornite dall’uomo secondo cui le frasi incriminate non avevano alcuna volontà offensiva e si inserivano all’interno di un clima goliardico che si era instaurato tra i due giovani, posto che il comportamento addebitato al ricorrente era comunque non desiderato dalla collega ed era altresì oggettivamente idoneo a ledere e violare la dignità della donna, costituendo giusta causa di licenziamento, ponendosi correttamente nella prospettiva della vittima e non in quella del molestatore.
Avverso tale pronuncia, il lavoratore proponeva ricorso in Cassazione, sottolineando, da un lato, l’assenza, nelle sue parole, della volontà di offendere la collega, e, dall’altro, l’inattendibilità di quest’ultima, alla luce anche del provvedimento di archiviazione disposto dal GIP in riferimento alla denuncia sporta dalla ragazza in ordine al reato di stalking.
La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, ritenendo condivisibili le premesse giuridiche dalle quali è partita la Corte territoriale che si è mossa nella cornice della definizione di molestie come prevista dall’art. 26 del d.lgs. n.198/2006, considerando molestie quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
Applicando tale definizione al caso di specie, la Cassazione ha ritenuto che la condotta posta in essere dall’uomo verso la nuova collega fosse oggettivamente indesiderata (anche se a tale comportamento non erano seguite effettive aggressioni fisiche a contenuto sessuale), e integrasse quel concetto di molestia, definito dalla norma richiamata, che si fonda sulla oggettività del comportamento tenuto e dell’effetto prodotto, «con assenza di rilievo della effettiva volontà di recare una offesa».
Cass. 23295 del 2023 (molestie collega e licenziamento)